Non occorre andare a funghi per imbattersi nelle famigerate ‘poesie del sottobosco’ – basta scorrere la propria facebook homepage. Se non ne vedete o siete voi stessi autori delle stesse, oppure siete più selettivi del sottoscritto nell’accettazione delle amicizie.
Per non rendere tali poesie del tutto inutili, propongo un semplice gioco/esperimento di natura deduttiva (uno specialista dell’informatica potrebbe ricavarci tranquillamente un algoritmo):
Fate caso alle poesie postate su facebook dai vostri contatti
e osservate come sono scritte:
1. ci sono metafore genitive o analogie preposizionali (‘X di Y’) sistematicamente ripetute? (tipo ‘le stanze del perdono’)
2. plurali generici di parole spesso astratte o archetipiche (luce, ombra, tempo, silenzio)?
3. il titolo dà già la chiave del contenuto?
4. ‘versi’ quasi sempre sotto le otto, nove sillabe?
5. grande riluttanza a usare gli articoli? (per es. ‘sono tempesta su deserti…’)
6 insistita anteposizione dell’aggettivo al sostantivo? (‘aspra solitudine’)
7. magari la parola ‘parole’ a fine verso? (‘cose’ è camp, ‘parole’ è kitsch… d’accordo, quest’ultimo punto è un sassolino che mi volevo togliere)
8. assoluta mancanza/assoluto sovraffollamento di ‘io-tu-io-tu’ (deissi personale)?
Se la risposta è si’ ad almeno 4 di questi 8 punti, siete al 99% davanti a una poesia del sottobosco (quell’1% restante sarebbe una sua geniale parodia, o il lavoro di un autore altrimenti geniale). Provatemi che ho torto.
NB: il sottobosco può finire su Einaudi, non viene più definito esclusivamente dalla sua natura ‘sommersa’…